Piccoli investitori di startup

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Piccoli investitori di startup

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Piccoli investitori di startup

di 22 settembre 2013

Riciclare rifiuti in cambio di premi. Creare un mercato online per il lavoro creativo. Installare impianti fotovoltaici. Finanziare le ricerche di giovani scienziati. Gli imprenditori sociali cavalcano l’onda della democratizzazione di Wall Street, sulla tavola del crowdfunding.

Basta aprire le schede delle imprese che cercano finanziamenti su Kickstarter o IndieGoGo, ma anche sull’italiana SiamoSoci, per capire che le nuove modalità d’investimento e le imprese impegnate nella vendita di prodotti e servizi socialmente utili sono due network che s’incrociano e s’intrecciano in più punti. Non a caso stanno nascendo diversi portali mirati al finanziamento di questo tipo di startup, come Mosaic, dedicato alle fonti pulite di energia, o MedStartr, consacrato al mondo della salute. Il primo esempio di crowdfunding, del resto, è stata proprio un’organizzazione con intento filantropico: Kiva è una società californiana nata nel 2005, che veicola prestiti via web a piccolissime imprese nei Paesi in via di sviluppo, consentendo ai finanziatori di seguire i progressi dei loro beneficiati attraverso il sito. La convergenza tra crowdfunding e imprenditoria sociale si legge in controluce nello Jobs (Jumpstart Our Business Startups) Act, la normativa americana che allarga le maglie del diritto finanziario per gli investimenti online nelle società nascenti, in via d’implementazione tramite i regolamenti della Sec, la Consob americana. E anche la legge italiana che, prima al mondo, ha aperto la strada al crowdfunding per startup, all’interno del decreto Crescita 2.0, specifica fra i suoi obiettivi lo sviluppo di aziende innovative «a vocazione sociale».

«Le tecnologie digitali sono un grande equalizzatore e il finanziamento collaborativo ha la potenzialità di trasformare radicalmente il mondo della finanza», prevede Jessica Jackley, fondatrice di Kiva, parlando con Nòva24. E non è l’unica a crederci. Robert Shiller, l’economista che anticipò il crack di Borsa del 2001, professore di finanza a Yale, ha paragonato recentemente il crowdfunding alla nascita dei mercati finanziari come li conosciamo oggi, che avvenne attraverso una legge, varata a New York nel 1811, volta a esentare gli investitori da qualsiasi responsabilità legale nell’eventuale fallimento delle società di cui compravano le azioni in Borsa. Quella legge ha aperto la possibilità di detenere un portafoglio diversificato di azioni, che altrimenti sarebbe stato troppo rischioso. «Il crowdfunding non è altro che un nuovo sviluppo della stessa idea», sostiene Shiller e prevede “trasformazioni sbalorditive” da questa innovazione finanziaria. «La finanza si occupa di controllo dei rischi. Se la gestione dei rischi venisse adeguatamente democratizzata e i suoi strumenti più sofisticati venissero distribuiti meglio nell’ambito della società, potrebbe contribuire a ridurre le diseguaglianze sociali», auspica Shiller.

Jackley, che sarà in Italia venerdì prossimo all’Innovation Festival di Bolzano, in collaborazione con ItaliaCamp, è convinta che il successo delle forme di finanziamento collettivo per le imprese giovani sia fortemente condizionato dalla cornice normativa. «Il successo di Kiva nasce dalla possibilità di offrire un servizio semplice ed elegante: un prestito senza interessi di almeno 25 dollari per un imprenditore in cerca di finanziamenti, diretto e convincente», fa notare Jackley. Invece non è stato così, fino a oggi, per i finanziamenti online alle startup nei Paesi sviluppati. Qui bisogna fare i conti con normative stringenti, che impediscono, ad esempio, a una Spa di avere una base di oltre 500 azionisti. Lo Jobs Act allarga questa base a 2000. La nuova normativa elimina poi il ruolo vincolante di banche e società d’investimento nelle transazioni finanziarie. Anche la legge italiana prevede l’istituzione di un registro per “gestori di portali”, diversi dalle banche. Sarà difficile conciliare il dinamismo del web con la paludata supervisione Consob, ma è già un buon inizio.

Dopo il successo di Kiva, Jackley ha dovuto incassare il fallimento di ProFounder, sito di crowdfunding. «Non era abbastanza semplice da usare. Volevamo esserlo e abbiamo tentato di semplificare il più possibile il processo, per consentire agli imprenditori di raccogliere finanziamenti dai loro amici e dalla comunità, ma la cornice legale allora ci impediva di fare del crowdfunding nel modo in cui i nostri clienti lo intendevano. Era impossibile creare un’interfaccia aperta, flessibile e semplice come quella di Kiva, perché eravamo costretti a districarci in regole molto complesse, che distinguevano gli investitori tra quelli accreditati e quelli non accreditati, in base a dove vivevano, a quanto volevano investire, a quanti soldi la società voleva raccogliere. Abbiamo dovuto rinunciare», spiega. «Ma aspetto con impazienza di vedere le opportunità che si apriranno con lo Jobs Act», aggiunge.
Per chi sarà pronto, è in arrivo un’occasione per innovare, sia nei contenuti che nel modo con cui finanziarsi. Sarà la strada giusta per cogliere la ripresa? Forse. Certamente si tratta di un miglioramento dell’infrastruttura finanziaria per le piccole imprese innovative, che in questo momento ne hanno particolarmente bisogno.